In gergo comune si definisce “seno cadente” ma dietro queste due parole c’è un mondo intero che ci costringe, necessariamente, a guardare il singolo caso. Come spesso avviene in chirurgia estetica è l’individualità della paziente a fare la differenza. Cominciamo però con quello che c’è di “comune”. Con il termine ptosi mammaria, infatti, si intende il graduale spostamento verso il basso della mammella dovuto al cedimento della ghiandola mammaria e alla distensione della pelle. Questo cambiamento può portare con sé smagliature ma anche ipertrofia o ipoplasia mammaria (abbondanza o carenza di seno).
Se infatti il massimo comune denominatore è un seno molto diverso da quello che la paziente poteva osservare anni prima, le differenze sostanziali non trovano concordanza né nella dimensione (la ptosi mammaria è comune a prescindere dalla grandezza del seno) né nelle cause. Oltre all’invecchiamento concorrono anche sovrappeso o dimagrimento, vita sedentaria, pelle poco elastica, genetica e familiarità, recente allattamento e tanti altri fattori che rendono la ptosi comune anche nelle donne più giovani. Inoltre anche la “gravità” del fenomeno può essere di diverso tipo: si va infatti dal grado 1, più lieve, con capezzoli all’altezza del solco sottomammario a quella più severa, di tipo 3, con capezzoli che guardano verso il basso. Quando i capezzoli sono a una distanza di 2/3 cm sopra il solco mammario si è in assenza di ptosi.
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Ma come si interviene?
Mastoplastica additiva e Mastopessi, spesso combinate tra loro, risolvono il problema. Ma già da sola, quest’ultima, può spesso essere risolutiva. La mastopessi, infatti, chiamata anche lifting al seno, dona a quest’ultimo un aspetto più giovane e sodo sollevandolo e, in alcuni casi, persino senza usare le protesi (COME POTETE VEDERE IN QUESTO CASO).
Parliamone insieme.